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Hebron, la colonia

luglio 24, 2011

In tutta la Palestina, non c’è posto più scioccante di Hebron (al-Khalil in arabo). Per chiunque sia venuto con l’intenzione di conoscere la situazione dei palestinesi sul terreno e di comprendere il conflitto israelo-palestinese, il centro storico di Hebron è una tappa obbligata.

E’ bene ricordare che dal 1967 a oggi gli israeliani hanno costruito delle colonie in tutta la Cisgiordania. Alcune sono dei piccoli paesini di poche centinaia di abitanti, mentre altre sono delle vere e proprie cittadine fornite di infrastrutture e servizi. Questi insediamenti sono stati costruiti in generale in cima alle colline, ad una certa distanza dai centri abitati palestinesi, su dei terreni rurali confiscati al demanio pubblico o ai contadini locali. Gli israeliani hanno sempre cercato di mantenere un minimo di distanza, probabilmente per evitare resistenze o rappresaglie all’occupazione progressiva del territorio.

Tranne a Hebron. Qui nel 1979 un gruppo di coloni israeliani occupa di sorpresa un vecchio ospedale ebraico nel cuore della città e rifiuta di abbandonarlo. Le due giustificazioni per questo atto illegale sono: l’importanza religiosa di Hebron (una delle quattro città sante dell’Ebraismo) e la presenza in passato di una minoranza ebraica nel centro città, scappata in seguito a un massacro nel 1929. Le forze di sicurezza israeliane circondano l’edificio per proteggere i coloni da rappresaglie della popolazione araba, ma non intervengono per porre fine all’occupazione. Il governo tergiversa, condanna l’azione verbalmente ma non prende alcun provvedimento. I coloni restano al loro posto. E poco a poco il fatto compiuto viene accettato. Nel 1980 il governo legalizza la colonizzazione del centro di Hebron. E negli anni successivi nuovi coloni vengono ad occupare altri edifici…

La città di Hebron ora è quasi divisa in due metà dalla colonia ebraica cresciuta al suo interno. Nel centro storico le due vie principali corrono quasi parallele, a una distanza di una cinquantina di metri. Un normale visitatore imbocca la prima via e si ritrova immerso in un tipico mercato mediorientale, con bancarelle e negozi di abiti, spezie, gioielli. I venditori abbordano i passanti per convincerli a comprare, le signore si fermano ad osservare le mercanzie e a trattare sul prezzo; tutto in apparenza sembra normale. Ma ci si rende in fretta conto che tutte le viuzze sulla destra sono bloccate da muri di cemento e filo spinato. In cima a diverse case si intravede la copertura mimetica di una postazione militare. E una griglia metallica ricopre alcuni tratti della strada e protegge i passanti dalle immondizie e dai detriti che i coloni gettano regolarmente sulle loro teste dai piani più alti degli edifici.

La seconda via, Shuhada Street, è quasi completamente chiusa per i palestinesi. Un tempo la strada principale del centro, è ora praticamente deserta. Si attraversa un posto di blocco dell’esercito per accederci: e di colpo ci si ritrova davanti un paesaggio dall’aspetto vagamente post-nucleare. Due lunghe file di botteghe completamente chiuse da anni, con le saracinesche sprangate. Edifici abbandonati e fatiscenti, graffiti e scritte sui muri, vie sbarrate, pietrame e detriti sparsi al suolo. Spazi aperti, silenziosi, vuoti. Il passaggio su gran parte di questa strada è proibito ai palestinesi perché collega tra loro alcuni gruppi di case occupate e serve ai coloni per spostarsi all’interno della loro enclave. Alcune abitazioni qua e là sono tenute meglio, le loro persiane sono aperte, e dal balcone spunta una bandiera israeliana: sono appunto le case occupate dai coloni.

E’ una piccola enclave ebraica artificiale, ricavata con la forza all’interno del centro storico della città. Circa 500 o 600 coloni ebrei vivono nel mezzo di 160,000 arabi palestinesi; e solo per la loro difesa sono presenti ben 2,000 soldati israeliani! Senza questa protezione militare massiccia non potrebbero imporre la loro presenza in maniera così arbitraria. Oltre alle perdite materiali, alle restrizioni e alle umiliazioni per i palestinesi, mi domando quale sia il costo economico – oltre a quello morale – di questa folle impresa per i cittadini israeliani.

Le case del centro sono antiche, in pietra, alte e strette, tutte addossate l’una accanto all’altra. I palestinesi ed i coloni abitano a pochi metri di distanza; la terrazza di una casa dà sul cortile di quella a fianco; e le finestre si guardano l’un l’altra.  Ma non c’è incontro, scambio né dialogo; gli israeliani si sono presi una strada per loro, e hanno lasciato l’altra ai palestinesi. Vivono a stretto contatto, eppure non c’è nessun punto di contatto.

Mi fermo qui con le descrizioni, perché nessun testo scritto può davvero spiegare l’inspiegabile. Bisogna vederlo con i propri occhi. Hebron è una spina nella coscienza, è un pugno forte nello stomaco.

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